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Incontri sui temi dell'Ambiente

Approfondimenti

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PREZIOSO COME il SALE (2^ parte)
Fin dall’antichità il sale è stato usato anche a fini terapeutici; le saline costiere sono, inoltre, zone umide di grande interesse naturalistico.
Testo e foto (C) di Milvia Petta



<A volte, per spiegare o descrivere un composto che, come il sale, vanta millenni di storia, ha veicolato grandi ricchezze verso chi ne deteneva il monopolio e che, nei popoli, ha permeato culture, usanze, miti e simbologie, riesce molto difficile, in poco spazio, condensarne la trattazione; ancor più poiché l’argomento è ricco di spunti e non si esaurisce nell’esposizione che è stata oggetto della prima parte, in questo stesso sito.
Fra gli infiniti usi del sale, occorre aggiungere, infatti, anche quelli terapeutici. Nell’antica medicina cinese, sin dal XVII secolo a.C., è attestato l’uso della spongia marina usta, vale a dire l’estrazione del sale dalle spugne marine tramite torrefazione in un crogiuolo, per la cura del gozzo tiroideo da carenza di iodio.  Anche i Greci individuarono nel sale un rimedio efficace per diversi problemi, fra cui quelli dell’apparato digerente. Ippocrate, considerato il padre della medicina, prescriveva suffumigi di acqua salata per combattere le infiammazioni dell’apparato respiratorio. Composti a base di sale erano usati, dagli allievi della scuola d’Ippocrate, per curare ulcere cutanee e altre malattie della pelle oppure come espettorante.  Nel II secolo d.C. il medico greco Galeno, curava i mali della tiroide con la sunnominata spongia usta, metodo già conosciuto nella medicina orientale. I benefici dell’aria arricchita dalle molecole di NaCl, erano sfruttati, sin dal medioevo, dai monaci che, per curare le affezioni respiratorie, portavano i malati all’interno di cavità scavate nelle miniere di salgemma.
Nel 1843, il fisico Felix Boczkowski, pubblicò il risultato di una serie di studi sperimentali, condotti sui minatori polacchi della miniera di salgemma di Wieliczka, in cui si evidenziava l’assenza di affezioni respiratorie fra questi lavoratori, rispetto ai minatori di altre miniere, nonché rispetto al resto della popolazione. Ancora oggi, si ricorre all’haloterapia (o aloterapia) che si effettua nelle cosiddette grotte del sale, le quali possono essere naturali come quelle che si trovano nelle miniere di salgemma, o artificiali, in cui si predispongono ambienti con pavimento, soffitto e pareti tappezzati di sale, tanto da simulare le stesse condizioni di concentrazione, temperatura e umidità che si trovano nelle grotte di salgemma.  All’interno di questi ambienti, le molecole di cloruro di sodio, rese micronizzate e ionizzate negativamente, sono diffuse tramite un nebulizzatore, affinché possano arrivare fino agli alveoli polmonari e lì manifestare i loro effetti medicamentosi favorendo, in particolare, l’espettorazione. Tra le affezioni che vengono curate vi sono, in primis, quelle respiratorie come: asma, bronchite cronica, sinusite, tonsillite, tosse e rinite allergica ma, anche, quelle dermatologiche come: eczema e, soprattutto, psoriasi. Ciò che è indubbio è il miglioramento generale della sintomatologia che porta a ridurre la quantità di farmaci.  
Fra i metodi curativi, in cui è implicato il sale, sono note, sin dall’antichità, le proprietà benefiche delle acque madri. Le acque madri, caratterizzate da una colorazione rosso-mattone per l’abbondante presenza di batteri ma, soprattutto, di un’alga unicellulare, la Dunaliella salina, ricchissima in ß-carotene, non sono altro che le acque residue, dopo la precipitazione del cloruro di sodio (NaCl). Esse posseggono un’alta concentrazione in solfati, sali di bromo, di iodio, potassio e magnesio e in più hanno un certo grado di radioattività naturale, sfruttata a fini curativi. Queste acque sono assimilabili a quelle salso-bromo-iodiche di terme famose, come per esempio quelle di Salsomaggiore o di Castrocaro e sono indicate (secondo la loro densità) per il trattamento dei dolori articolari, per i problemi reumatici e artritici, quelli dell’insufficienza venosa, le otiti, le infiammazioni vaginali e le affezioni dermatologiche.  
Oltre alle acque madri, si sfruttano anche le proprietà terapeutiche dei fanghi ricchi di sali.  La fangoterapia consiste in applicazioni di fango con temperatura che oscilla fra i 38°C e i 40°C e ha come campo d’elezione i traumi dell’apparato locomotore, i dolori cronici delle articolazioni, i reumatismi, osteoporosi, mialgie e le malattie della pelle.  Data l’accertata efficacia terapeutica, questo tipo di cure termali, sono riconosciute dal nostro Servizio Sanitario Nazionale.
Come tutte le zone umide (e le saline rientrano in codesta categoria), esse rivestono una grande importanza da un punto di vista naturalistico. Le saline sono da annoverare fra le zone umide artificiali, giacché conformate dall’uomo in maniera razionale, per l’uso cui sono destinate: vale a dire produzione e raccolta del sale.
L’elevata mutabilità delle condizioni fisiche e chimiche, in cui giocano un ruolo molto importante la bassa profondità, la stagionalità, con il maggiore afflusso di acque meteoriche in autunno-inverno e la notevole evaporazione in estate, hanno ridotto la biodiversità, selezionando organismi viventi, che si sono adattati a condizioni ambientali difficili e, addirittura, estreme.  Queste condizioni si riscontrano, in particolare, nelle caselle salanti, nelle acque madri oppure, in riva al mare, nelle pozze di scogliera, in cui la densità dell’acqua raggiunge valori molto elevati.
Tuttavia, in queste condizioni così difficili, vi è un microcosmo pullulante di vita, che va al di là della nostra limitata capacità visiva, costituito da microrganismi come: l’Halobacterium salinarum, un archeobatterio molto primitivo, il piccolissimo crostaceo fillopode Artemia salina, molto appetito dai fenicotteri, alghe unicellulari contenenti caroteni e xantofille come diatomee e dinoflagellati o la Dunaliella salina ricchissima anch’essa di carotenoidi e, in primavera-estate, maggiore responsabile, insieme all’Artemia salina e agli archeobatteri del genere Halobacterium, della colorazione rossastra delle acque iperaline (= sovrassalate).  
Per sopravvivere allo stress osmotico che la salinità procura, fito e zooplancton hanno evoluto strategie complesse. Una di queste è creare, all’interno della cellula, una maggiore concentrazione di sali (soprattutto di potassio) rispetto all’ambiente esterno. In tal modo, per un processo di osmosi, si favorisce l’ingresso dell’acqua all’interno della cellula e non viceversa, che avrebbe come conseguenza la disidratazione, e quindi la morte della stessa.  Le zone limitrofe alle saline, vedono la presenza di piante erbacee appartenenti alla vasta famiglia inclusa, oggi, nelle Amaranthaceae e sottofamiglia delle Chenopodiaceae, le quali, fra l’altro, comprendono il genere Salicornia, Suaeda, Arthrocnemum, Halocnemum e Salsola. Queste alofite (= piante adattate ai terreni salsi), utilizzano, anch’esse, sistemi di difesa dall’eccesso di sale.  Alcuni sono similari a quelli accennati più sopra, basandosi sul processo fisico della differenza di pressione osmotica fra l’interno della cellula e l’ambiente esterno; altri consistono nell’eliminare l’eccesso di sale tramite cellule escretrici, le cosiddette “ghiandole del sale”; altri ancora sottraggono il sale in sovrappiù dalla linfa circolante, accumulandolo all’interno di vacuoli e dando alla pianta un aspetto insolito.
Esse appaiono, di fatto, come ricoperte da piccoli cristalli di ghiaccio, ne è un esempio il Mesembryanthemum crystallinum conosciuto comunemente come Erba cristallina o Erba ghiacciola. Oltre agli adattamenti fisiologici, vi sono anche quelli morfologici. L’aspetto delle alofite è, infatti, succulento e gli apparati fogliari sono ridotti per limitare al minimo la traspirazione. Le alofite formano grandi praterie di un verde glauco che poi, nella tarda estate, divengono rosseggianti, ravvivando il piatto e monotono paesaggio lagunare e delle saline. Altre chenopodiacee hanno un aspetto arbustivo, come l’Atriplex halimus, talvolta parassitato, nelle sue radici, dal Cynomorium coccineum, comunemente conosciuto come Fungo di Malta, una pianta alquanto singolare, somigliante a un fungo e considerata rara, tanto da essere inserita fra le specie a rischio di estinzione. Un andamento più strisciante ha l’Atriplex portulacoides, anch’esso ospite, in maniera più elettiva, del Cynomorium, così come l’Inula crithmoides.
Lungo gli argini delle saline la vegetazione è alquanto scarsa, ciò non osta la frequentazione di uccelli che nidificano a terra e che depongono uova dal colore terroso, cosparse di picchiettature, per mimetizzarsi con il substrato e sfuggire così agli occhi dei predatori. Questo ecosistema, complesso e delicato, ospita numerosa avifauna acquatica come il Fenicottero rosa (Phoenicopterus ruber roseus) che, per la sua mole e per la bellezza, è forse l’uccello più rappresentativo e ammirato di questi ambienti, ma anche varie specie di Ardeidi, di Laridi, fra cui il Fraticello (Sternula albifrons), il Gabbiano roseo (Chroicocephalus genei - sin. Larus genei) e il raro Gabbiano corso (Ichthyaetus audouinii – sin. Larus audouinii), anatidi come le Volpoche (Tadorna tadorna), piccoli trampolieri come l’Avocetta (Recurvirostra avosetta) e il Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), limicoli minuti fra i quali il Piovanello (Calidris ferruginea), il Gambecchio (Calidris minuta) il Fratino (Charadrius alexandrinus), il Corriere grosso (Charadrius hiaticula) e il Corriere piccolo (Charadrius dubius).
Sono moltissime le saline italiane ed estere che, per la loro importanza naturalistica, sono state incluse in programmi di protezione come zone S.I.C. (siti d’interesse comunitario), Z.P.S. (zone di protezione speciale) che possono diventare Z.S.C. (zone speciali di conservazione), I.B.A. (important bird areas = aree importanti per gli uccelli). Il più noto di questi vincoli è certamente la “Convenzione di Ramsar”, un trattato internazionale, che riconosce l’importanza delle zone umide, anche artificiali, come luoghi da tutelare per la loro importanza da un punto di vista della flora e della fauna e, in particolare, come luogo di svernamento, di sosta e riproduzione dell’avifauna. A tal proposito, non si dimentichi che diverse saline sono salite alla ribalta della cronaca e hanno acquisito notorietà, proprio grazie al fatto che sono state prescelte da nutriti contingenti di fenicotteri per la loro alimentazione e, soprattutto, per la riproduzione.  
Nella nota conclusiva di questa seconda parte, è opportuno porre l’accento su come, l’industria del sale, sia un esempio eclatante di attività eco-compatibile, in quanto non inquinante e non impattante, in maniera negativa, con l’ambiente e, inoltre, sia una risorsa rinnovabile, perché si rigenera continuamente e quindi, da considerarsi inesauribile.>

(Milvia Petta – Fine della 2^ parte)

DIDASCALIE FOTO

0001
Acque iperaline  dalla tipica colorazione rossastra, dovuta a zoo e fitoplancton ricchi di carotenoidi.
0002
Singolare cristallizzazione, come una sorta di colletto intorno a un sasso, in una pozza di scogliera.
0003
Fangoterapia sulle rive del Mar Morto.
0004
Bacile colmo di fango curativo del Mar Morto.
0005
Salicornia fruticosa, un’alofita molto comune nei terreni salsi.
0006
Praterie di associazioni di alofite in una zona lagunare.
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Inula crithmoides
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Atriplex alimus
0009
Il Cynomorium coccineum, noto come Fungo di Malta, è una pianta parassita di diverse alofite, in particolare del genere Atriplex.
0010
Mesembryanthemum crystallinum, chiamato comunemente Erba ghiacciola per il suo aspetto che la fa apparire come ricoperta da cristalli di ghiaccio.
0011
Particolare di Mesembryanthemum crystallinum
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Gabbiano roseo (Chroicocephalus genei).
0013
Gabbiano reale (Larus michahellis).
0014
Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus)
0015
Fenicottero rosa (Phoenicopterus ruber roseus)
0016
Il tipico assetto in volo dei fenicotteri, con collo e zampe in linea con il corpo.

AVVERTENZA


Le immagini fotografiche, a corredo del testo "PREZIOSO COME il SALE" (2^ parte), riprodotte nella sottostante galleria in "slideshow" (con miniatura visibile e cliccabile al passaggio del mouse), sono di esclusiva proprietà (C) dell'autrice Milvia Petta, che le ha cortesemente messe a disposizione di questo sito, alfine della migliore presentazione dell'articolo medesimo. Nessuno, pertanto, è autorizzato alla copia, al prelievo, alla diffusione/pubblicazione e/o al loro utilizzo per qualsivoglia motivo e circostanza, senza il preventivo consenso scritto dell'autrice. Chiunque fosse interessato, può e deve farne formale e motivata richiesta, scrivendo all'indirizzo e-mail riportato nelle pagina "Disclaimer" alla voce Contatti e nel "piè di pagina" del sito.
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PREZIOSO COME il SALE (1° parte)
Importante alimento, strategica merce di scambio, sostanza dal forte valore sacrale e simbolico, nel corso della storia il sale ha rivestito, da sempre, un ruolo centrale nella vita dell’uomo.
Testo e foto (C) di Milvia Petta



<Nessun minerale ha avuto un’importanza così rilevante, sin dal primo apparire delle civiltà, come il sale comune. Soprattutto in un lontano passato, è stato un bene di prima necessità più prezioso dell’oro e, per la sua importanza economica e grazie al suo commercio, ha contribuito a favorire l’incontro fra popoli e culture diverse; ma oltre che per il suo intrinseco valore economico, legato alle proprietà disidratanti e antiputrefattive, indispensabili per conservare, proprio con la salagione, derrate alimentari deperibili come carni e pesci, o all’uso come condimento dei cibi o servire per la concia delle pelli e per fissare i colori delle stoffe, nel corso della storia, è stato sempre presente nell’accompagnare i momenti importanti della vita dell’uomo, assumendo valenze diverse:
valore sacrale come offerta nei sacrifici religiosi per allontanare il male, oppure per stipulare patti, in particolare con Dio o, nel mondo classico, nei riti di purificazione, in cui l’acqua lustrale era addizionata con sale. L’acqua lustrale pagana, sopravvive e permane ancora, nel culto cattolico, con l’uso dell’acqua benedetta, alla quale, in qualche caso, viene aggiunto un po’ di sale. Ancora oggi gli esorcisti ricorrono a simboli sacri, i cosiddetti “Sacramentali”, in cui compaiono: l’acqua, l’olio e appunto il sale esorcizzati.
Valore simbolico quando veniva sparso sulle rovine di una città conquistata o quando veniva offerto in segno di fratellanza, pace o considerazione e, ancora, assunto come simbolo di purezza, sapienza, ricchezza ed eternità.
Da non dimenticare che i legionari romani, erano pagati con un certo quantitativo di sale (da qui il termine di salario) e che, per trasportare il sale, si percorrevano alcune importanti direttrici viarie, fra le quali esiste ancora una via consolare chiamata Salaria, che collegava Roma con l’attuale zona di S. Benedetto del Tronto nell’Adriatico.
Nell’Antico Testamento, per esempio nel Levitico e nel Deuteronomio, il sale è citato più volte. Nel suo Vangelo, Matteo riporta una frase di Gesù, il quale definisce gli Apostoli “sale della terra”. Ancora oggi, nel parlare comune, si fa riferimento a esso per indicare determinate caratteristiche umane; per esempio si definisce “insulsa” (cioè senza sale) una persona senza attrattiva, oppure si indica “senza sale in zucca” una persona che manca d’intelligenza e, ancora, il modo di dire “metterci un grano di sale” significa metterci un po’ di buon senso.
La sua importanza si evince anche dal fatto che, in suo nome, si combatterono guerre, condotte soprattutto dalla Repubblica di Venezia per il predominio commerciale del sale nel Mediterraneo, come quella del 1378 contro Genova, per il possesso delle saline di Chioggia. La guerra mossa, nel 1482, sempre da Venezia, che deteneva il controllo di numerose saline, in particolare nel Mediterraneo orientale, contro Ferrara, che voleva sottrarsi al monopolio di Venezia e produrre sale per conto proprio. La guerra del 1540 fra Perugia e lo Stato Pontificio, quest’ultimo colpevole dell’imposizione di una tassa sul sale, che provocò una sollevazione popolare e ancora lo Stato Pontificio, coinvolto, nel 1556, in un conflitto contro la Spagna. La causa scatenante fu il raddoppio dell’imposta, da parte del Pontefice, sul sale importato dalla Sicilia, che provocò la reazione del re Carlo V e del suo successore Filippo II. Sono da ricordare pure i conflitti popolari che si perpetuarono dal 1680 al 1699 in Piemonte, contro il Ducato di Savoia, reo di avere emesso una tassa sul sale.
Anche la famosa marcia del sale organizzata, in maniera pacifica, dal Mahatma Gandhi nel 1928 per protestare contro l’Inghilterra, prese le mosse dal conferimento di svariate tasse, di cui una era, appunto, sul sale.
Il suo valore è tale che, ancora oggi, in Africa esistono, seppure sempre più rare, le carovane del sale di antica memoria. Questo tipo di commercio è ancora praticato da poche popolazioni nomadi di Tuareg stanziati nel massiccio dell’Aïr (Niger). Tra ottobre e novembre, essi intraprendono un lungo e massacrante viaggio, a dorso di dromedario, di circa 600 Km, attraversando la regione desertica del Teneré per dirigersi verso Bilma, dove si trovano i depositi naturali di salgemma che viene scambiato con altre merci, in particolare miglio, tessuti, selle e altri manufatti in cuoio.
Da un punto di vista chimico-fisico, il sale comune da cucina è costituito da cloruro di sodio (NaCl) che cristallizza in sistemi cubici. Ha lucentezza vitrea, è molto solubile in acqua, la cui temperatura non ne influenza la solubilità. Fonde a 8600 °C e, da un punto di vista ottico, può presentare il fenomeno della birifrangenza. La presenza, in percentuale variabile, d’inclusioni di altri minerali, conferisce al sale colorazioni diverse. Il sale rosso delle Hawaii, noto sotto il nome di Alaea Rouge, ha tale colore a causa del contatto fra il sale e gli ossidi di ferro contenuti in un’argilla vulcanica. Anche il sale rosa dell’Himalaya contiene tracce di ossidi di ferro che gli conferiscono quella caratteristica colorazione. Il sale Blu di Persia (un salgemma estratto nella regione del Semnan, in Iran), deve il suo colore azzurrognolo a impurezze di silvite, che da un punto di vista chimico è cloruro di potassio (KCl). Il salgemma viola Kala Namak originario dell’India, ha questo colore per le inclusioni di vari sali sulfurei, fra cui il solfuro ferroso (FeS). Il sale grigio della Bretagna deve invece il suo colore a un’argilla particolare, presente nel fondo delle vasche.
Per quanto riguarda la sua raccolta, esso si può estrarre dalle miniere di salgemma, che oggi si trovano più o meno lontane dal mare e che si sono originate, milioni di anni fa, per fenomeni orogenetici, i quali hanno isolato porzioni di mare, di differente estensione, all’interno dei continenti. Nel corso dei tempi geologici, con l’evaporazione, si sono formati giacimenti salini fossili di estensione diversa, Questi giacimenti possono essere superficiali o, in seguito a fenomeni di ripiegamento dovuto a forze tettoniche, trovarsi negli strati profondi del sottosuolo con una potenza anche di centinaia di metri.  L’estrazione del salgemma avviene in diversi modi: con l’ausilio dell’acqua, si ottiene una salamoia molto concentrata che viene fatta confluire negli impianti di evaporazione oppure viene portata a ebollizione, ottenendone il sale di evaporazione. L’altro metodo è a secco, con la stessa tecnica estrattiva che è usata nelle miniere, vale a dire con l’ausilio di escavatori. Un sottoprodotto molto importante del salgemma è il solfato di potassio (K2SO4), usato prevalentemente come fertilizzante.
Le miniere di salgemma più importanti in Europa sono quelle che si trovano in Austria, a Salzkammergut e Hallstatt, quest’ultima è considerata la più antica del mondo. In Germania, fra le più note, vi sono quelle di Stassfurt in Sassonia e Berchtesgaden in Baviera. In Spagna vi è la Montanya de sal a Cardona, in Catalogna e, fra le più famose e conosciute da un punto di vista turistico, nonché patrimonio dell’U.N.E.S.C.O. per le innumerevoli statue, altari, lampadari, bassorilievi e tanto altro, tutto scolpito nel sale, spiccano le miniere di Wieliczka non lontano da Cracovia (Polonia). In Italia abbiamo diverse miniere di salgemma rispettivamente: in Calabria nel Crotonese, in Toscana nella zona di Volterra, in Basilicata e, soprattutto, in Sicilia a Racalmuto, Petralia e Realmonte,
L’altro tipo di sale è il sale marino, che si estrae dalle saline costiere per evaporazione dell’acqua di mare. Condizione vantaggiosa per la costituzione di una salina è la presenza di lagune o stagni costieri e, naturalmente, di fattori climatici favorevoli all’evaporazione dell’acqua di mare come: frequente ventilazione, buona insolazione e scarsa piovosità. Una salina marittima consta di una serie di bacini poco profondi e con batimetria, forma e ampiezza diversa, separati da argini di terra argillosa e comunicanti fra loro tramite canali. Il flusso dell’acqua, da una vasca all’altra, è regolato da piccole chiuse in legno. La prima fase è la captazione dell’acqua di mare che, per mezzo di un’idrovora, è spinta nelle vasche evaporanti di 1° evaporazione. L’acqua di mare, che ha una concentrazione iniziale oscillante fra 3,5 e 4,5 gradi Baumé (°Bé), comincia a ridurre il proprio volume e viene convogliata, per pendenza naturale, nelle vasche di 2° evaporazione, dove avviene un ulteriore processo di concentrazione dei sali che continua nelle vasche di 3° evaporazione, fino ad arrivare nelle caselle servitrici. Questi bacini hanno la funzione d’immagazzinare le acque ricche di sali, le quali andranno ad alimentare le caselle salanti ove avviene la cristallizzazione frazionata. Quando l’acqua raggiunge la concentrazione di 11 – 12 °Bé, comincia la precipitazione dei sali carbonatici, di cui il più abbondante è il carbonato di calcio (CaCO3). A mano a mano che la concentrazione aumenta fino a raggiungere i 20 °Bé, si depositano i solfati, in particolare il solfato di calcio biidrato, il comune gesso, (CaSO4 ● 2H2o). A un ulteriore aumento della densità, compresa fra 24 e 26 °Bé, corrisponde la precipitazione dei cloruri, il più abbondante e importante dei quali è il cloruro di sodio, il normale sale da cucina (NaCl).  Gli ultimi a precipitare, quando l’acqua raggiunge una densità superiore ai 30 °Bé.  sono i sali di potassio, di magnesio e di bromo contenuti nelle acque madri. Il cloruro di sodio cristallizzato, viene raccolto a mano oppure meccanicamente e ammassato in grandi cumuli prismatici. Per la commercializzazione, il sale ha bisogno d’essere lavato, macinato e raffinato, vale a dire privato di tutti gli altri composti salini considerati impurità e che, invece, permangono nel sale integrale.
Fra le saline costiere più importanti d’Italia possiamo annoverare quelle di Trapani e Marsala in Sicilia, di Cervia in Emilia Romagna, di Margherita di Savoia in Puglia che è la più grande salina d’Italia e una delle più grandi d’Europa, di Comacchio e quelle di Cagliari e S. Antioco in Sardegna. I principali produttori di cloruro di sodio, a livello mondiale, sono gli Stati Uniti d’America.
Oltre all’uso alimentare, il sale è importantissimo anche per l’industria chimica, lo si usa, infatti, nella preparazione della soda caustica (NaOH), dei clorati, nell’industria della plastica, nella produzione di saponi, nella preparazione della cellulosa e svariati altri usi industriali. Un altro utile impiego è quello d’essere sparso sulle strade per sciogliere il ghiaccio poiché ha il potere di abbassare il punto di congelamento dell’acqua.>.

(Milvia Petta – Fine della 1^ parte)

DIDASCALIE FOTO

0000
Cristallo di cloruro di sodio.
0001
Crosta di sale.
0002
Inizio della raccolta del sale.
0003
Cumuli di sale.
0004
Canali dove viene convogliata l’acqua di mare verso le vasche.
0005
Salina di  Xwejni a Gozo (Malta).
0006 bis
Raccolta manuale del sale nelle saline di Xwejni a Gozo (Malta).
0006
I salinieri maltesi operano a piedi nudi nella salamoia.
0007
Saline di Trapani.
0008
Scorcio delle saline di Trapani.
0009
Il mulino Maria Stella delle saline di Trapani.
0010
Strati di sale alternati ad argilla sulle rive del Mar Morto.
0011
Una galleria della miniera di salgemma di Berchtesgaden (Germania).
0012/0013
Macchinari della miniera di Berchtesgaden (Germania).
0014
Le stupefacenti miniere di Wieliczka (Polonia), in cui tutto ciò che si vede è costituito di Sale, pavimenti compresi.
0015
Le statue di sale della miniera di Wieliczka non lontano da Cracovia.
0016
Un lampadario di sale delle miniere di Wieliczka.
0017
Particolare dello stesso lampadario.

AVVERTENZA

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La LUCERTOLA di BEDRIAGA
Un raro paleoendemismo tirrenico testimonianza di un remoto passato
Testo e foto (C) di Milvia Petta




<Andando per balzi rocciosi, in particolare nei vasti anfiteatri granitici della Gallura, non è difficile imbattersi in un lacertide poco comune. Si tratta della lucertola di Bedriaga (Archeolacerta bedriagae), un paleoendemismo sardo-corso inserito nella lista rossa dell’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) come specie meritevole di tutela. La morfologia della testa, piuttosto appiattita, il muso affusolato e, soprattutto, le bozze sopraorbitali alquanto accentuate, evoca qualcosa di ancestrale, tratti arcaici che riportano a un remoto passato. La livrea, abbastanza semplice, è caratterizzata da un colore di fondo verde-bluastro molto scuro, quasi nero, su cui si stagliano diffuse macule puntiformi di colore più tenue, che possono variare dal verde chiaro al giallastro, mentre nei fianchi, talvolta, compaiano piccole aree tondeggianti di colore azzurro-turchese. Secondo l’incidenza della luce, il mantello assume riflessi iridescenti, Spesso la colorazione non è omogenea ma, la parte anteriore, con particolare riferimento al capo, sfuma verso tonalità marroncino-ramate. Una certa varietà intraspecifica della popolazione sarda, dovuta alla diversità di habitat, ha tratto in inganno diversi zoologi, i quali, in passato, hanno creduto, erroneamente, di trovarsi al cospetto di sottoclassi diverse. In realtà oggi, dopo attenti studi, anche genetici, si tende a riconoscere una sola sottospecie: l’Archeolacerta bedriagae sardoa, che in Sardegna ha una distribuzione disomogenea, un po’ a macchia di leopardo, con popolazioni non in contiguità ma isolate fra loro. Questo sauro si trova soprattutto nelle zone montane della Gallura (in particolare sul Monte Limbara dove vi è la popolazione più abbondante), nell’arcipelago de La Maddalena e a Capo Testa. Per contro, è meno frequente nel Logudoro, nella Baronia, in Barbagia, in Ogliastra e, a sud dell’Isola, sui Monti dei Sette Fratelli. In Corsica esiste, invece, l’altra sottospecie: l’Archeolacerta bedriagae bedriagae, diffusa in maniera omogenea in tutta la Corsica, grazie alla natura montuosa più uniforme dell’Isola. La sottospecie corsa si differenzia per alcuni caratteri fra cui la reticolatura del dorso più distanziata e contrastata rispetto al colore di fondo e le macule azzurrognole dei fianchi molto più evidenti.  La lucertola di Bedriaga sembra prediligere le vaste formazioni granitiche, ma non disdegna anche rocce di natura calcarea o scistosa purché ricche di anfratti; dimostra inoltre una grande valenza ecologica, adattandosi bene sia nelle zone cacuminali fino a 1800 m s.l.m. (dove sopporta meglio di altre lucertole le basse temperature) che collinari, come pure quelle costiere. In genere il suo raggio d’azione non è troppo distante dai rifugi che frequenta abitualmente, per potersi nascondere velocemente nel caso di eventuali minacce.  La sua natura curiosa e confidente la porta a essere meno elusiva rispetto ad altri lacertidi, per cui è facile, muovendosi con molta cautela, accostarsi a distanza ravvicinata per poterla osservare agevolmente o per fotografarla. Si nutre di piccoli invertebrati, in particolare insetti, che cattura con guizzi sorprendentemente agili. Per la sua rarità, la sua estrema localizzazione e la facilità con cui può essere allevata in cattività è, purtroppo, molto ricercata dai collezionisti (soprattutto del Nord Europa) e da commercianti senza scrupoli che depredano, in particolare, i contingenti più numerosi che si trovano sul Monte Limbara. Abitualmente evita la coabitazione con altre specie di lacertidi, probabilmente perché competitori più aggressivi di loro nei territori di caccia. Per quanto riguarda le leggi di tutela per questa specie si può citare, a livello internazionale la Convenzione di Berna per la conservazione della vita selvatica e dei biotopi, recepita dall’Italia nel 1981 ed entrata in vigore il 1 giugno 1982.  La convenzione pone particolare attenzione alla necessità di tutelare gli habitat naturali e le specie in via di estinzione, minacciate e vulnerabili.
A livello regionale vi è la legge n° 23 del 1998 sulla tutela della fauna selvatica e del suo habitat con particolare riguardo alle specie minacciate, vulnerabili e rare, nonché alle specie e sottospecie endemiche. Fanno parte della fauna selvatica, oggetto di tutela della presente legge, i mammiferi, gli uccelli, i rettili e gli anfibi dei quali esistono popolazioni viventi, stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà nel territorio regionale e nelle acque territoriali ad esso prospicienti. La lucertola di Bedriaga compare nell’elenco delle specie particolarmente protette dell’allegato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della presente legge.
A prescindere dalle leggi che tutelano questa specie sulla carta, è auspicabile comunque un maggiore controllo del territorio, soprattutto dei siti maggiormente battuti dai collezionisti-predatori, affinché vengano scoraggiati i continui prelievi da parte di personaggi senza remore morali e del tutto privi di coscienza ecologica.>.

NOTE

CLASSE:           Reptilia
ORDINE:           Squamata
SOTTORDINE:   Lacertilia o Sauria
FAMIGLIA:        Lacertidae
GENERE:           Archeolacerta
SPECIE:            bedriagae
SOTTOSPECIE: sardoa
NOMI SARDI PIU’ COMUNI: Caluxerta;  Calixertula;  Tiligherta;  Tziligherta;  Tzilighelta niedda.

DIDASCALIE FOTO

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Archeolacerta bedriagae sardoa fotografata a M. Limbara.
0002
Primo piano della testa di Archeolacerta bedriagae sardoa.
0003
L’Archeolacerta bedriagae predilige i substrati granitici, ma si può trovare anche su rocce di altra natura.
0004
Secondo l’incidenza della luce il mantello assume riflessi iridescenti.
0005
In questa ripresa dall’alto sono evidenti le bozze sopraorbitali molto sporgenti.
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Esemplare di Archeolacerta bedriage fotografata in località S. Basilio (Ollolai).

AVVERTENZA

Le immagini fotografiche, a corredo del testo "La LUCERTOLA di BEDRIAGA", riprodotte nella sottostante galleria in "slideshow" (con miniatura visibile e cliccabile al passaggio del mouse), sono di esclusiva proprietà (C) dell'autrice Milvia Petta, che le ha cortesemente messe a disposizione di questo sito, alfine della migliore presentazione dell'articolo medesimo. Nessuno, pertanto, è autorizzato alla copia, al prelievo, alla diffusione/pubblicazione e/o al loro utilizzo per qualsivoglia motivo e circostanza, senza il preventivo consenso scritto dell'autrice. Chiunque fosse interessato, può e deve farne formale e motivata richiesta, scrivendo all'indirizzo e-mail riportato nelle pagina "Disclaimer" alla voce Contatti e nel "piè di pagina" del sito.

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<Un ALTRO GIORNO è ANDATO>
Fra Capoterra City e il South West della Sardegna
Video di Ferdinando Atzori sulla Nuova Strada Statale 195 Sulcitana
Commento di Gianfranco Ghironi



Quando Nando ha sottoposto alla mia attenzione il video di 10 minuti circa, intitolato “Nuova Strada Statale 195 Sulcitana” (clicca link o vedi a margine), sono inizialmente sobbalzato perché le scritte, in sovraimpressione a scorrimento verticale, non mi sembravano “coerenti” con le immagini registrate. Per un attimo, ho avuto la tentazione di dichiarare la mia netta contrarietà a quanto andavo leggendo. Un istante dopo, visto lo sguardo e il sorriso divertito del mio amico documentarista “free lance”, ho capito che si trattava di un commento epistolare di carattere ironico, che “diceva” esattamente e volutamente il contrario di quello che si vedeva nel filmato.
Mi è venuto immediatamente in mente, perché condizionato dall’allegra colonna sonora stile “country” da lui utilizzata quale accompagnamento, di associare al suo filmato, la bella canzone di Francesco Guccini “Un altro giorno è andato”, tratta dall’album storico del 1984 “Fra la via Emilia e il West”. L’ho ricercato su YouTube e l’URL che ho selezionato mostra le immagini di una bella località, non meglio identificata, sita tra collina e bassa montagna, che ricorda molto quella splendida nostrana, in agro di “Poggio dei Pini” a Capoterra che (a mio parere), perderà a breve, se non verranno apportati i giusti correttivi, non poco del fascino paesaggistico che ha sempre posseduto ed esercitato.
Questo, non solo a causa della costruzione della nuova tratta della Strada Statale n. 195, che unisce Cagliari a Sarroch passando da Capoterra, ma anche per la prevista realizzazione di un “mostruoso” viadotto e di altri molto discutibili lavori di “messa in sicurezza” del suo territorio (dighe e laghi, nuove volumetrie edificabili, etc.), a seguito del catastrofico e tragico evento alluvionale del 22 ottobre 2008, che ha provocato danni enormi e, soprattutto, la morte di 4 persone.
Tornando alla Nuova SS 195, che dovrebbe alleggerire e velocizzare il notevolissimo traffico dei veicoli di ogni tipologia, che percorrono incessantemente la vecchia Sulcitana, obsoleta e pericolosa ma, sicuramente meno impattante dal punto di vista ambientale, rispetto a quella che si sta realizzando, devo dire almeno quanto segue.
Si tratta di un’opera di notevoli dimensioni e costi tali che, forse, si poteva evitare e forse no; che, per la tempistica, è quasi assimilabile al tratto autostradale tristemente famoso, che dovrebbe unire le città di Salerno e Reggio Calabria, la cui progettazione e primo finanziamento risalgono al lontano 1964; di cui, a tutt’oggi, rimangono ancora da completare, circa 98 km. sui 490 complessivi, di cui 392 già realizzati e/o ammodernati.
Per la Nuova Strada Statale 195, l’accordo di programma stabilito al riguardo, è del mese di luglio 2003, mentre allo stesso mese dell’anno 2007 è riferita l’approvazione del progetto. I cantieri sono stati ufficialmente aperti nel novembre del 2011 ed a tutt’oggi, dopo 4 anni, corrispondenti ovvero a 49 mesi o 1500 giorni, è stato realizzato solo il 3% circa dell’intera tratta in progetto. La conclusione dei lavori, prevista per la fine dell’anno 2017, sicuramente slitterà almeno di un anno. Non sarà la Salerno-Reggio Calabria, ma l’esemplificazione rende comunque bene l’idea della lentezza, dei ritardi, dei tentennamenti, dei conflitti di competenze, degli intralci burocratici e della scarsa determinazione dimostrata da parte del “mondo della politica” e delle autorità di settore, al riguardo della realizzazione di questa importante opera stradale.
Sta di fatto che, ora, la costruzione è stata avviata e si cominciano a intravvedere quali saranno oggettivamente, gli… scempi ambientali, naturalistici e territoriali, che la nuova SS 195 causerà “in itinere”, unitamente alle negative ricadute sul piano dell’integrazione sociale delle popolazioni del territorio. Senza dimenticare le pesanti ripercussioni sugli investimenti immobiliari, effettuati dagli abitanti (residenti o meno), nelle zone attraversate ora dalla nuova tratta stradale, nonché sul piano della salute, sia dell’ambiente che delle persone.
Si aggiunga che, per predisporre il terreno ad accogliere tutte le strutture che vi verranno localizzate, è stato ridotto di molto l’alveo del “Rio Santa Lucia”, che, dopo i gravi nubifragi accaduti nel 1985 e '86 (che causarono anche la morte di una persona), venne allargato e approfondito a dovere dalla RAS, per arginare il ripetersi di questo tipo di eventi. Nella drammatica giornata del 22/10/2008 sopraricordata, questi adeguamenti, che alcuni sedicenti “esperti” avevano definito non necessari o esagerati (sic!), erano riusciti ad evitarne l’esondazione e il conseguente allagamento delle lottizzazioni viciniore (Residenza del Sole, Coop. Mille e Cento). Ora, con i lavori effettuati, questo rischio, anziché diminuire è nuovamente aumentato e costituirà una preoccupazione in più, per l’intera popolazione capoterrese che, peraltro, a distanza di 7 anni, attende ancora l’inizio sostanziale dell’esecuzione dei previsti lavori di messa in sicurezza idrogeologica del territorio. Il pericolo aumenta, inoltre, a causa della mancata ordinaria periodica pulizia degli argini e la bonifica delle zone circostanti, come già indicato nel mio articolo e nel video “Capoterra Rio Santa Lucia” di Nando Atzori, pubblicati di recente su questo sito web (clicca link sul titolo).
Insomma, la nuova Strada Statale 195 Sulcitana, forse risolverà il problema della viabilità interurbana nella tratta Cagliari-Capoterra-Sarroch, stante che la vecchia arteria costituisce un autentico “collo di bottiglia” in direzione Pula, soprattutto per il traffico dei cosiddetti mezzi pesanti (TIR, autocisterne, camion, autobus, escavatori, etc.), ma il “costo da pagare” sarà altissimo e, a mio parere, impossibile da ammortizzare.
Personalmente, un pensierino a cambiare abitazione o, meglio, località residenziale, lo sto già facendo. Il mio “investimento immobiliare”, è stato già penalizzato pesantemente negli anni (come quello di tanti altri), da piene e alluvioni, fumi e polveri sottili, degrado ambientale e sociale, insufficienza dei servizi di supporto alla comunità ed un eccessivo livello di imposizione fiscale locale (imposte, tasse e tributi). Tante cose che fanno ripensare alle scelte a suo tempo effettuate e che, alla luce dei fatti negativi succedutisi in serie, vengono mortificate in modo continuativo.
In attesa di trovare valide alternative, per ora resto qui e, nel mio piccolo, insieme ad altri, continuerò a battagliare, per difendere e valorizzare Ambiente e Territorio, Salute e Sicurezza dei cittadini. Buona lotta a tutti!

Gianfranco Ghironi

Note

Video di Ferdinando Atzori "Nuova Strada Statale 195 Sulcitana) pubblicato su YouTube il 23 gennaio 2016
URL: https://youtu.be/vCQkOT083X4

Video musicale su YouTube, pubblicato il 27/09/2013 da "tiziano ti", su “Un altro giorno è andato” di Francesco Guccini, tratta dall’album "Fra la via Emilia e il West" (Vol. 2 – 1984)
URL: https://www.youtube.com/watch?v=hmadIlRiTMI

Testo della canzone di “Un altro giorno è andato”
URL: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_francesco_guccini_1655/testo_canzone_un_altro_giorno_e_andato_42881.html

Avvertenza

Per visionare altri filmati realizzati da Ferdinando Atzori, collaboratore ormai stabile di questo sito web, clicca il link interno attivato sulla scritta seguente "Video di Ferdinando Atzori noto Nando".

"Nuova Strada Statale 195 Sulcitana" - Video di Ferdinando Atzori su YouTube

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Nel SEGNO dell’ACQUA
Nel Parco Comunale di Funtana Is Arinus, bosco e cascate formano un connubio incantevole
Testo e foto (C) di Milvia Petta



<A nord del paese di Nurallao, nel cuore della sub-regione del Sarcidano, si trova, ben segnalata, un’area naturalistica di grande pregio, facile da raggiungere e molto interessante sia per le peculiarità paesaggistiche che per le opportunità che offre agli appassionati di escursionismo. Si tratta del Parco Comunale di Funtana Is Arinus, caratterizzato da un fitto e rigoglioso bosco misto, in cui la specie arborea prevalente è il leccio e, all’interno del quale, si cela una singolare attrattiva: vale a dire una serie di cascate, formate dal Rio Sarcidano che, precipitando all’interno di conche rocciose, danno origine a laghetti dalle acque trasparentissime. L’andamento del terreno, contrassegnato da marcati e improvvisi dislivelli, dà luogo a una successione di salti, che si estinguono all’interno di altri piccoli bacini posti a quote più basse. Nei periodi piovosi, il corso della corrente è piuttosto tumultuoso e il frastuono dell’acqua si espande per tutto il bosco.
A Funtana is Arinus si arriva percorrendo un’agevole strada asfaltata, che porta nei pressi di un ristorante prospiciente un’area picnic. Dal lato opposto della strada, un cartello riporta una mappa del luogo con le zone di maggior interesse e, proprio accanto a esso, si dipana la sterrata, chiusa da una sbarra per impedire l’accesso alle auto, che conduce appunto alle cascate. Dopo un breve tratto, la sterrata s’interrompe all’improvviso nei pressi di un ampio specchio d’acqua, costeggiato da un viottolo che immette nel bosco. Guidati dal fragore dell’acqua, s’incontrano i primi salti, in cui l’acqua si frantuma in un turbinio di spruzzi che si dissolvono in una larga conca. Proseguendo nel senso contrario alla corrente del fiume, si arriva alle altre cascatelle: sono innumerevoli, di dimensioni e portata differente; le acque di alcune di esse si dilungano a formare minuscoli rii, altre finiscono in depressioni del terreno costituendo piccoli invasi, da cui, poi, traboccando, formano infiniti rivoli che scorrono tortuosi e paralleli, per poi intersecarsi in alcuni punti e infine confluire a formare un unico corso d’acqua. Mano a mano che si procede, si arriva a un falsopiano dove s’incontra la cascata più bella e spettacolare: quella di Su Craddaxioleddu, la quale, con oltre 15 metri d’altezza, è anche la cascata più alta. L’acqua, dividendosi in frange molto scenografiche forma, alla base, contro le rocce, un velo di caligine. Il fiume, abbastanza largo in quel tratto, impedisce di accostarsi e ci si deve accontentare di ammirare lo spettacolo da una certa distanza e attraverso un sipario di fronde. Poco più avanti, un’altra cascata, è un po’ più piccola, ma altrettanto impetuosa, tanto da sollevare una cortina nebulizzata che investe tutto ciò che si trova nel raggio di una decina di metri. Lo scroscio dei getti accompagna il nostro cammino fino alla zona più elevata, in cui l’acqua perde forza, disperdendosi in una trama complicata che scompare e riappare fra gli squarci della vegetazione arbustiva. Sulla via del ritorno, indotti dalla curiosità, si devia dal percorso iniziale e ci s’inoltra nel sottobosco. La luce che penetra attraverso la folta copertura vegetale, disegna chiaroscuri taglienti che rendono più misteriosi gli anfratti che si aprono alla base delle rupi e più minacciose le ciclopiche lame calcaree traforate dall’erosione, all’interno delle quali, hanno trovato dimora lecci giganteschi, tanto forti da spaccare la roccia nel corso del loro accrescimento. Sorprendono anche alcuni maestosi esemplari di Hedera helix: hanno tronco imponente, fortemente ancorato alle pareti rocciose, così come destano meraviglia gli stupefacenti intrecci di liane della Clematis vitalba che pendono da un’altezza di diversi metri dando, per un fuggevole istante, l’impressione di stare in una foresta equatoriale. Si cammina su esili sentieri, a tratti ricoperti da un letto soffice di foglie morte, fra rami flessuosi che si protendono verso il suolo, muschi saturi di umidità, agrifogli e spinosissime Smilax che inevitabilmente si agganciano alle vesti. Ogni angolo è meraviglia e sorpresa, uno scampolo di paradiso terrestre scampato alle numerose cave d’argilla refrattaria, in particolare di caolino, che punteggiano il territorio in località Pitzu Rubiu e che, seppure hanno prodotto qualche posto di  lavoro, hanno anche ferito irrimediabilmente il territorio. Prima di lasciare il Parco di Is Arinus, un ultimo sguardo va al Rio Sarcidano che, proseguendo la sua corsa, arriva in agro di Isili, fino alla diga di Is Barrocus (o Borrocus), posta a sbarramento del Flumini Mannu per formare l’invaso artificiale di S. Sebastiano. Il lago si dipana in maniera vermiforme, con un’estremità che si allarga notevolmente e in cui spicca, al centro, uno scosceso isolotto calcareo, con in cima, in straordinaria solitudine, l’antica chiesetta campestre di S. Sebastiano risalente, presumibilmente, al sec. XIV.>.


DIDASCALIE FOTO

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Parco di Funtana Is Arinus (Nurallao).
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Alcune delle cascate che caratterizzano il parco.
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Cascata di Su Craddaxioleddu, la più alta del parco.
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Le liane della Clematide (Clematis vitalba).
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Particolare delle emergenze rocciose.
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L’umidità del sottobosco favorisce la crescita del muschio.
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Felce maschio (Dryopteris filix-mas).
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Porzione estrema del lago di S. Sebastiano con l’isolotto su cui vi è la chiesa omonima.
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Particolare dell’isolotto con la chiesa di S. Sebastiano.
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La diga di Is Borrocus.
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Foto di repertorio delle cave di caolino.
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Cumulo di caolino.

AVVERTENZA

Le immagini fotografiche, a corredo del testo "Nel SEGNO dell’ACQUA", riprodotte nella sottostante galleria in "slideshow" (con miniatura visibile e cliccabile al passaggio del mouse), sono di esclusiva proprietà (C) dell'autrice Milvia Petta, che le ha cortesemente messe a disposizione di questo sito, alfine della migliore presentazione dell'articolo medesimo. Nessuno, pertanto, è autorizzato alla copia, al prelievo, alla diffusione/pubblicazione e/o al loro utilizzo per qualsivoglia motivo e circostanza, senza il preventivo consenso scritto dell'autrice. Chiunque fosse interessato, può e deve farne formale e motivata richiesta, scrivendo all'indirizzo e-mail riportato nelle pagina "Disclaimer" alla voce Contatti e nel "piè di pagina" del sito.

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<Capoterra, Rio Santa Lucia>
Il paradiso quasi perduto dietro l’angolo di casa
Video di Ferdinando Atzori su YouTube
Commento di Gianfranco Ghironi




A chi possiede sguardo attento e competente, spirito conoscitivo e informazioni corrette, non sempre è necessario andare in posti esotici e/o lontani, per trovare e apprezzare bellezze ambientali e naturalistiche. La nostra regione, peraltro, è antica terra di paesaggi inestimabili, risorse da cui potrebbe trarre anche non indifferenti benefici di carattere occupativo ed economico, se solo sapesse utilizzare in modo sapiente, oculato e razionale, quanto di bello possiede, sia per noi che ci abitiamo che per un turismo esterno, eco-compatibile e sostenibile, sempre a misura di… Natura. A volte basta svoltare dietro l’angolo di casa, cambiare il solito percorso casa-lavoro e, magari nel week-end, andare a scoprire le meraviglie da cui siamo circondati. E’ il caso del Rio Santa Lucia, originato da due corsi d'acqua distinti, rispettivamente denominati "Gutturu Mannu" e "Guttureddu", provenienti dal cuore dei monti del Sulcis e che, in prossimità della chiesetta di "Santa Lucia" (del monte), ubicata nel territorio del Comune di Assemini, confluiscono per formare il corso d'acqua omonimo. Il medesimo, snodandosi poi nel territorio del Comune di Capoterra, sfocia in mare tramite il canale “Maramura”, nelle vicinanze dell’omonima zona costiera, in prossimità di “La Maddalena spiaggia”. Questo corso d’acqua, diviso solo da una stretta fascia di terra dal vicinioro stagno di Capoterra (che altro non è che la parte della laguna di Santa Gilla, geograficamente insistente in questo Comune), attraversa le lottizzazioni della “Coop. Mille” e della “Residenza del Sole”, sorte praticamente affianco a partire dalla metà degli anni ‘90 del secolo scorso.
Orbene, se come ha fatto più volte l’amico Ferdinando Atzori e la famiglia, ci si prendesse la briga di svolgere anche solo una semplice escursione, per contemplare il paesaggio e magari fotografarlo all’alba e/o al tramonto, ci si renderebbe conto di cosa ci siamo persi fino ad ora e della necessità di interventi immediati, per tutelarlo e valorizzarlo. Il video realizzato e montato da Nando, intitolato semplicemente “Capoterra Rio Santa Lucia”, pubblicato su YouTube il giorno 7 gennaio 2016, nella categoria “Viaggi ed eventi” con “Licenza standard”, della durata di 9 min. e 18 sec., racconta con un inizio ed una fine di struggente bellezza, amarezza e speranza insieme, lo scempio ambientale che si sta perpetrando in questo luogo. Non a caso l’ho definito “Il paradiso quasi perduto dietro l’angolo di casa”, perché si trova a soli 12 km. dalla città di Cagliari, a 5 dal centro storico di Capoterra ed a meno di duecento metri dalle abitazioni delle residenze prima indicate; ricco di avifauna importante (Fenicotteri, Germani reali, Spatole, etc.) e piante endemiche, questo sito possiede un fascino tutto particolare. Negli ultimi anni è stata anche tracciato un percorso, che lo rende praticabile ai cicloamatori dal centro della cittadina fino a “La Maddalena spiaggia”.
Qualche cosa l’Amministrazione comunale l’ha fatta e molto altro ancora le resta da fare, soprattutto per salvaguardare l’integrità dell’ambiente naturale e le opere già messe in atto, anche perché se non si difende l’esistente è impossibile predisporne la valorizzazione per il futuro che, almeno si spera, sia “prossimo venturo” e non “remoto”. Una cosa è certa, se non si interviene immediatamente a risanare questo territorio e a tutelarlo adeguatamente, non ci sarà futuro per la biodiversità ivi esistente. Fauna e flora sono a rischio e così anche la sicurezza e la salute delle persone, che abitano nel suo hinterland, con particolare riferimento alle ben note problematiche del dissesto idrogeologico del territorio. Il filmato, mette in tutta evidenza come, oltre alla pulizia degli argini e dell’alveo del Rio Santa Lucia, che va monitorato costantemente e liberato dai sedimenti accumulatisi nel tempo, da montagne di canne lacustri trasportate in anni passati da alluvioni o piene (che si devono almeno ridurre, se non evitare del tutto), siano improcrastinabili anche altri interventi. Agli eventi naturali, infatti, si devono aggiungere quelli di devastazione e inquinamento ambientale, che stanno producendo i “soliti ignoti”, vandali del terzo millennio d.C., che stra-fregandosene delle conseguenze derivanti dalle loro azioni criminali, a danno della Natura e del bene comune, continuano pressochè indisturbati in queste pratiche, diuturnamente, con costanza e determinazione. L’elenco dei materiali abbandonati all'aperto, sarebbe molto lungo. Mi basta citare buste e contenitori in plastica di ogni tipologia, materiali edili di risulta, detriti di ogni genere, materassi e reti metalliche, cataste di pneumatici, giornali quotidiani, riviste e fumetti, etc.. Insomma, chi più ne ha più ne mette, senza ritegno o pudore alcuno, senza paura dei divieti e delle leggi esistenti, ma, soprattutto, senza alcuna coscienza civica e/o regola etica interiore. Una “mattanza ambientale e naturale”, che sta aggravandosi di giorno in notte, in disprezzo e a danno degli sforzi dell’Amministrazione e in sfregio ai cittadini esemplari, che tengono pulito il territorio, effettuano regolarmente la raccolta differenziata a casa e/o conferiscono quanto di usurato o superfluo, direttamente all’eco-centro appositamente deputato e attivo nel Comune. Una vergogna totale, priva di una motivazione logica, senza comprensione o giustificazione alcuna, compiuta da individui che mi è difficile definire “persone”, perché questo termine è attribuibile soltanto a chi si comporta da essere umano e non da autentica “bestia” (chiedo scusa agli animali, per averli offesi in qualche modo).
Questi episodi erano già stati denunciati altre volte, pubblicamente e/o direttamente alle autorità comunali e istituzioni competenti, ma non è pensabile che interventi parziali e discontinui, conducano ad un miglioramento sostanziale della situazione di degrado, sia ambientale che morale. Bisogna mettere in atto iniziative concrete, lungimiranti e durature, in accordo stretto con gli Enti, le Istituzioni, le Associazioni ambientaliste presenti nel territorio, partendo “in primis” dalle Scuole di ogni ordine e grado; coinvolgendo studenti, docenti e famiglie, in progetti educativi e formativi, non solo di tipo cartaceo o informatico, ma da praticarsi attivamente sul campo, continuativamente e con la guida di esperti del settore. Nell’attesa che le azioni che ci si auspica vengano considerate e intraprese da questi soggetti giuridici, tutta la Comunità o, se si preferisce, la cosiddetta “Società Civile”, deve già mobilitarsi di propria sponte e mettere in atto quanto può fare in merito, il singolo cittadino o gruppi di essi, organizzati o spontanei che siano. Vanno bene le attività di pulizia ambientale, ma anche e soprattutto quelle di controllo, vigilanza e denuncia, nei confronti di chi si macchia di questi comportamenti indegni. Mi spiace dirlo, ma sono ancora troppi coloro che, per paura di ritorsioni e/o menefreghismo, fanno finta di non sapere e non vedere. Questi individui, sostanzialmente da definire come indifferenti, devono sapere che sono oggettivamente o indirettamente corresponsabili, complici e/o conniventi, con i delinquenti che producono tali scempi e, oltre a far del male a chi invece si batte per la legalità, il rispetto dell’ambiente e delle persone, alla lunga fanno male anche a loro stessi.
Credo che ciascuno di noi possegga per natura, diritti inalienabili e doveri imprescindibili e, tra questi, quello della salvaguardia del territorio nel quale opera e vive, al di là della mera residenza abitativa, a vantaggio della sicurezza e della salute di tutto e di tutti, animali, piante ed elementi inorganici compresi. Siamo localizzati ai confini della Galassia “Via Lattea”, in un incommensurabile Universo; siamo nati e viviamo in un piccolo, sperduto e meraviglioso pianeta chiamato Terra. Non ne abbiamo altri, a misura di orologio umano, ove andare per continuare a sopravvivere come specie, prolungando così la nostra avventura nel tempo e nello spazio. Volenti e/o nolenti, dobbiamo farci bastare quello che abbiamo e non rovinarlo in modo irreversibile. Ognuno di noi deve fare la sua parte, perché ne va anche della personale salvezza e di quella delle generazioni future. Nessuno può e deve tirarsi indietro. Cominciamo subito, partendo dal nostro territorio, mettendo in pratica comportamenti virtuosi e sollecitando contemporaneamente interventi anche istituzionali, senza attendere (ribadisco) la cronica lentezza e, spesso, l’inadeguatezza delle risposte che, in merito, deve comunque fornire il mondo della Politica (burocrazia, economia-finanza e interessi permettendo).


Gianfranco Ghironi

NOTE

Ringrazio Nando, per avermi suscitato questo intervento epistolare, grazie al suo bel video, frutto d’amore per l’Ambiente, la Natura, gli esseri viventi tutti e, in definitiva, per il “creato”. In tutti i suoi docufilm di viaggi, su temi ambientali, arte, storia e cultura, questa passione (nettamente avvertibile dall’utente dei video) è trasposta in esemplari e coerenti comportamenti di vita, come Persona innanzitutto.
Instancabile “viaggiatore del mondo”, ha fatto parte di varie associazioni ecologiste, con cui ha condotto azioni di salvaguardia dell’ambiente e della natura. Continua a farlo anche fuori da esse, come cittadino (unitamente alla moglie Milvia Petta e al figlio Matteo) e, a tutt’oggi, ha realizzato più di trenta filmati immessi online su YouTube ed il cui elenco completo, comprensivo di link cliccabili, è visibile sul sito web “La Piazzetta news” (con cui collabora insieme a Milvia), all’URL di pagina http://www.lapiazzettanews.altervista.org/ambiente-1.html#Approfondimenti-Ambiente3.
L’immagine riportata nel commento, è stata prelevata in modalità “snapshot”, dal video “Capoterra, Rio Santa Lucia” (clicca link oppure visionalo più sotto) di Ferdinando Atzori, unitamente al testo sottoriportato.

Testo in sovraimpressione sul video

“Capoterra, il sole sorge sul Rio Santa Lucia, paradiso faunistico invidiato da molti. Spettacolo di vita e di colori. | All’alba la vita si anima e la Natura mette in scena suggestioni piene di emozioni. | Fenicotteri e folaghe | Cormorani | Per apprezzare queste meraviglie è stata creata una pista ciclabile | Purtroppo sul Rio Santa Lucia esiste un grosso problema dovuto alla crescita incontrollata delle canne | L’alveo del fiume, in seguito a ciò, è ostruito e in caso di piena potrebbero verificarsi grossi problemi per il deflusso dell’acqua | I cumuli di canne sono quelli delle passate alluvioni | L’uomo, anziché contribuire a un risanamento del corso del fiume, contribuisce in modo vergognoso al suo degrado, creando uno spettacolo indegno e di poco rispetto del prossimo e della Natura | Capoterra, giunge la sera, tutto scompare, sperando che la notte porti buoni consigli per risvegliarsi al mattino in un mondo migliore.” (Ferdinando Atzori)

CAPOTERRA, RIO SANTA LUCIA - VIDEO di FERDINANDO ATZORI - YOUTUBE

Capoterra, Rio Santa Lucia<br />Il paradiso quasi perduto dietro l’angolo di casa<br />Video di Ferdinando Atzori<br />

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SANTA GILLA: CRONACA di UNO SVILUPPO MANCATO
Un reportage sullo stato di abbandono in cui versa lo Stagno
Testo e foto (C) di Milvia Petta



<Quando nel lontano 1996 i comuni di Assemini, Elmas, Capoterra e Cagliari, con unità d’intenti, decisero di cooperare, per la pianificazione e gestione della zona umida di Santa Gilla (la più vasta della Sardegna), proposero, alla Comunità Europea, il progetto denominato “Gilia”, nel solco del programma comunitario LIFE Natura. Scopo del progetto era quello di cofinanziare, insieme alla Regione Autonoma della Sardegna (nella misura del 50% ciascuna), iniziative a favore dell’ambiente naturale. Nello specifico, per quanto riguarda l’intero ecosistema, vasto circa 3000 ha, e comprendente la laguna di S. Gilla (o Stagno di Cagliari), le Saline Contivecchi e lo Stagno di Capoterra, gli interventi erano volti alla salvaguardia e tutela naturalistica, al recupero ambientale, compresa la rimozione delle discariche abusive e alla valorizzazione in chiave turistica e produttiva, con percorsi naturalistici attrezzati e incoraggiando attività ecocompatibili come la raccolta del sale, la pesca lagunare e l’allevamento del bestiame. Oltre a ciò, il progetto comprendeva anche altre attività scientifiche come: analisi chimico-fisiche delle acque e dei sedimenti, monitoraggio della concentrazione di metalli pesanti nei pesci e negli invertebrati, censimento annuale dell’avifauna e protezione delle specie d’interesse comunitario per la loro tipicità e rarità e, quindi, a rischio d’estinzione.  Nel novembre 1997, i comuni sunnominati si consorziarono con atto formale, alfine di realizzare tale intendimento. Il progetto “Gilia” fu approvato e sostenuto con un sostanzioso finanziamento di 5.587.000.000 delle vecchie lire, pari a € 2.885.445,00. L’area più interessata dai lavori di riqualificazione ambientale fu la porzione più occidentale di tutta l’area umida, denominata Stagno di Capoterra, in cui s’installarono un gabbiotto in legno per il custode, pannelli che dovevano contenere notizie esplicative a carattere naturalistico, paraventi in canne lungo il sentiero perimetrale (purtroppo posizionati in maniera discontinua, lasciando ampi tratti scoperti) e una torretta in legno per l’avvistamento dell’avifauna.
In un casale, in località Terr’e Olia, sarebbe dovuta nascere la sede del progetto “Gilia”, con un centro servizi, un piccolo museo, il laboratorio per la ricerca scientifica e le prenotazioni per le visite guidate.  Alfine di favorire la nidificazione dell’avifauna, nel progetto erano previsti anche l’installazione d’isolotti artificiali e il ripristino di quelli preesistenti. Con l’attuazione di questo progetto, lo Stagno di S. Gilla entrava a far parte della rete ecologica europea “Natura 2000” per quanto riguarda le aree protette. Dopo il programma Life Naura, nel 1998, gli stessi Comuni, in concerto con la Regione, aderirono al “PIA 6 Sud Santa Gilla” (Programma Integrato d’Area) con investimenti sia pubblici che privati e con il coinvolgimento delle cooperative di pescatori, del CASIC e altri soggetti privati. Scopo di tale sodalizio era, ancora una volta, il risanamento, la bonifica e valorizzazione ambientale, il riordino idraulico, nonchè il rilancio dell’attività ittica, della gambericoltura, allevamento delle arselle e mitilicoltura.  
Andando ancora più indietro nel tempo, già negli anni ’80, erano stati finanziati progetti in cui erano stati coinvolti i pescatori lagunari per l’allestimento di vasche, finalizzate all’allevamento di embrioni e larve di bivalvi (in particolare vongole), per la gambericoltura, spazi per l’allevamento di avannotti di spigole e orate e stabulario per i mitili. A distanza di decenni, dei tanti progetti, studi e consulenze con relative parcelle, ciò che rimane e impera è solo il degrado più assoluto e un grande rammarico per ciò che poteva essere e non è stato, vale a dire una grande occasione perduta non solo di valorizzazione ambientale e promozione d’immagine del territorio ma anche in termini di produttività e posti di lavoro sfumati. Per ciò che riguarda le infrastrutture, in tutti questi anni, non vi sono mai stati interventi di manutenzione; tant’è che, nello Stagno di Capoterra, torretta d’avvistamento e gabbiotto del custode sono in completa rovina e i paraventi in canne (complici anche le alluvioni che si sono succedute nel tempo) sono ormai in buona parte divelti. Oggi, in questa terra di nessuno, dove la sorveglianza latita, chiunque può fare ciò che più gli aggrada: percorrere in macchina il sentiero perimetrale, inoltrarsi negli argini dove nidifica l’avifauna, arrecare disturbo alla stessa con comportamenti chiassosi, passeggiare con cani, lasciati senza controllo e liberi di vagare persino all’interno degli specchi d’acqua, praticare la pesca abusiva, usare l’area umida come discarica.
E’ di questi giorni la notizia che, sempre gli stessi Comuni coinvolti nel progetto “Gilia,” abbiano, di fatto, iniziato a bonificare le numerose discariche abusive che insistono nelle zone peristagnali di tutta l’area umida (attualmente sono 11 le discariche più importanti individuate). Questi lavori sono stati finanziati dalla Regione con 250.000 € e, teoricamente, dovrebbero terminare ad aprile prossimo.
Intanto Elmas e Capoterra hanno già effettuato alcuni lavori di sistemazione di questi territori. In particolare, il Comune di Capoterra ha posizionato diversi leggii e panchine in legno a ridosso degli argini. Al di là delle buone intenzioni di “valorizzare” l’area umida, tuttavia, per ciò che riguarda le panchine, non si può che rimanere perplessi, tenendo presente la specificità, la delicatezza e l’alto valore naturalistico di tale ecosistema, nonchè l’importanza che esso riveste come luogo di sosta e di nidificazione per le specie ornitiche acquatiche, alcune delle quali rare e a rischio d’estinzione; motivo per il quale il compendio lagunare è sottoposto a tutela e a vincoli come la Convenzione di Ramsar, come zona S.I.C. (Sito d’Interesse Comunitario) come Z.P.S. (Zona di Protezione Speciale) e Riserva Naturale. Per questo è palese che l’uso ricreativo, che presumibilmente se ne vuole fare, alla stessa stregua di parchi urbani come Monte Claro o Monte Urpinu a Cagliari, mal si concilia con le esigenze della fauna (in particolare ornitica), abituale frequentatrice della laguna. Per questi particolari ecosistemi, l’unica fruizione possibile è quella di un turismo naturalistico contingentato, rispettoso dell’ambiente e accompagnato da guide qualificate, oltre naturalmente, all’attività scientifica di censimento e di ricerca. Gli interventi più corretti per la riqualificazione di tali luoghi è, quindi, il ripristino dei paraventi in canne (senza soluzione di continuità), in modo da permettere ai visitatori l’osservazione dell’avifauna attraverso feritoie, per arrecare meno disturbo possibile; il restauro della torretta d’osservazione e del gabbiotto per il custode, con magari il pagamento di un biglietto d’ingresso, i cui proventi potrebbero essere reinvestiti nella manutenzione degli arredi sunnominati.>.

DIDASCALIE FOTO

0001 / 0002
I cartelli del progetto Life Natura “Gilia” posizionati nello Stagno di Capoterra.
0003
La torretta d’avvistamento per l’avifauna prima del degrado totale.
0004 / 0005
Lo stato attuale con una serie di gradini mancanti.
0006 / 0007
Particolare dello stato di degrado della torretta.
0008 / 0009
L’inciviltà non risparmia gli ecosistemi di pregio.
0010
I paraventi in canne divelti.
0011
Il gabbiotto posto all’ingresso dello Stagno di Capoterra.
0012
Uno dei tanti leggii posti lungo il sentiero perimetrale dello stagno.
0013
Una delle tante panchine posizionate a ridosso degli argini.
0014
Canale nello Stagno di Capoterra.
0015
Panoramica dello Stagno di Capoterra.
0016
Un caratteristico “ciu” imbarcazione tipica dei pescatori di stagno.
0017
Stagno di Cagliari.
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Laguna di S. Gilla, sullo sfondo Sa Illetta.

AVVERTENZA


Le immagini fotografiche, a corredo del testo "SANTA GILLA: CRONACA di UNO SVILUPPO MANCATO", riprodotte nella sottostante galleria in "slideshow" (con miniatura visibile e cliccabile al passaggio del mouse), sono di esclusiva proprietà (C) dell'autrice Milvia Petta, che le ha cortesemente messe a disposizione di questo sito, alfine della migliore presentazione dell'articolo medesimo. Nessuno, pertanto, è autorizzato alla copia, al prelievo, alla diffusione/pubblicazione e/o al loro utilizzo per qualsivoglia motivo e circostanza, senza il preventivo consenso scritto dell'autrice. Chiunque fosse interessato, può e deve farne formale e motivata richiesta, scrivendo all'indirizzo e-mail riportato nelle pagina "Disclaimer" alla voce Contatti e nel "piè di pagina" del sito.

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Uno splendido esempio di risorsa rinnovabile
Una QUERCIA per AMICO
La quercia da sughero oltreché essere un elemento inscindibile del paesaggio sardo, ha un ruolo importante nell’economia isolana.
Testo e foto (C) di Milvia Petta



<Se si volesse prendere come emblema un albero per rappresentare la Sardegna, sicuramente la quercia da sughero (Quercus suber L.), ben si presta allo scopo.  Quest’albero ci parla di un’attività antica e produttiva e ci rimanda a quando, gli antichi abitatori della nostra Isola, scoprirono nella sua corteccia un prezioso dono, vale a dire un materiale versatile e abbastanza diffuso, così adatto agli usi più diversi da divenire, ben presto, indispensabile nelle attività quotidiane.  Dal sughero erano ricavati i recipienti per l’acqua, per contenere vivande, nonché suppellettili varie e, sempre col sughero, i nostri progenitori avevano l’accortezza di foderare nuraghi e capanne per renderli più confortevoli.  C’é dunque tanta storia in questa pianta e un nesso antico con il suo uso da parte degli uomini che si perpetua ancora oggi.  Albero tipicamente mediterraneo, la sughera spinge il proprio areale fino alle Canarie, ma è soprattutto in Portogallo, dove è coltivata intensivamente, che si trovano i contingenti più cospicui, tanto che questo paese, risulta essere il primo produttore ed esportatore al mondo di questa preziosa corteccia. Secondo alcuni autori, in Italia, la sughera sarebbe spontanea solamente nelle isole maggiori mentre, nel resto del territorio italiano e, in particolare, nell’Appennino, sarebbe stata propagata artificialmente soprattutto nel XVIII secolo.  Tra le regioni italiane, la Sardegna, con una produzione che si attesta all’incirca in 120/130 mila quintali all’anno, occupa il primo posto per produzione sughericola, coprendo da sola circa l’85% dell’intera produzione italiana. Le maggiori sugherete dell’Isola ricadono nei territori del Sulcis-Iglesiente, nella regione tra Sorgono e Abbasanta, nella zona compresa fra Alà dei Sardi, Buddusò, Bitti e Orune ma, soprattutto, in Gallura,  nei territori di Tempio, Aggius, Calangianus e Monti.  Tra gli aspri rocciai granitici della Sardegna, la quercia da sughero diventa, con la sua presenza diffusa, fattore caratterizzante la fisionomia del paesaggio. Figlie di una terra scabra e dura, queste piante trovano dimora e sostentamento in ambienti apparentemente inospitali, vivacizzando i luoghi che le ospitano con le calde tinte ruggine dei tronchi appena scortecciati.  L’antico rapporto che lega l’uomo a questa quercia, si può leggere in tutte le sue valenze: natura, industria, riferimenti storici e culturali s’intrecciano e si compenetrano per diventare un racconto, in cui il sughero accompagna il quotidiano dell’uomo per gli usi più diversi.
Innanzi tutto occorre precisare le caratteristiche del tessuto suberoso, che nella specie Quercus suber, si presenta più sviluppato rispetto ad altre specie arboree.  Esso è costituito da cellule morte piene d’aria, caratterizzate dall’avere le pareti rivestite da una sostanza lipidica idrorepellente (la suberina) e dall’essere strettamente appressate tra loro, tanto da non avere spazi intercellulari. La respirazione dei tessuti sottostanti è assicurata da speciali cellule arrotondate, con numerosi spazi intercellulari, dette lenticelle che, di quando in quando, interrompono la continuità di tale tessuto di rivestimento.  Si comprendono, a questo punto, le peculiari, inimitabili proprietà che fanno del sughero un materiale leggero, pressoché imputrescibile, fortemente coibente e impermeabile all’acqua e ai gas e, parimenti, l’importanza che esso riveste per la pianta, proteggendola dagli sbalzi di temperatura,  dall’eccessiva traspirazione e anche rendendola più resistente agli incendi.  Verso i 25-30 anni d’età, quando il tronco raggiunge una circonferenza di circa 45 – 50 cm, la sughera è ritenuta idonea a essere scortecciata.  Verso maggio - giugno fino ad agosto, gli “scorzini” (tagliatori specializzati), praticano incisioni anulari e verticali con una sorta di accetta molto affilata e, facendo leva con il manico di questa, staccano con perizia la corteccia, stando attenti a non ledere lo strato sottostante, costituito da un particolare tessuto, un meristema cambiale, che prende il nome di fellogeno, le cui cellule sono responsabili dell’accrescimento in spessore del fusto e della radice e, quindi, in ultima analisi, della preziosa corteccia.  Il sughero che viene asportato per la prima volta dalla pianta è poco elastico e di scarsa qualità ed è denominato “sugherone” o “sughero maschio”. Col passare del tempo, le energie rigeneratrici della sughera compiono il prodigio, riformando lo strato suberoso che, d’ora in avanti, potrà essere tolto, secondo le norme vigenti in Sardegna, ogni dieci anni.  Con le successive decorticazioni, si ottiene il cosiddetto “sughero gentile” più compatto e di migliore qualità rispetto al precedente.  Il sughero ottenuto, abbisogna di una o due bolliture per essere lavorato, dopo di che viene disposto in grandi cataste per asciugare. La destinazione finale è la trasformazione nei numerosi prodotti d’uso comune, molti dei quali si rifanno alle fogge del passato, come sgabelli, vassoi rustici per gli arrosti, contenitori per liquidi o granaglie ai quali si affianca una produzione artigianale costituita da bottiglie, oggetti in terracotta, album, agende o piatti rivestiti di sughero e, ancora, cartoline, e quadri con le classiche immagini oleografiche della Sardegna.  Da un po’ di tempo a questa parte, grazie alla creatività di artisti e designer, si assiste a un rinnovamento di forme e stili, soprattutto nel settore dell’oggettistica e dei complementi d’arredamento, che hanno reso più raffinato e confacente alle esigenze estetiche odierne l’uso di questo materiale.
L’attività che però è di gran lunga prevalente nel settore sugheriero è la fabbricazione di tappi, destinati per la maggior parte all’esportazione e destinati per i vini pregiati. Calangianus può essere considerato uno dei paesi leader in questo campo.  Quasi tutte le botteghe artigiane che vi si trovano sono a conduzione familiare; piccoli e medi laboratori, in cui il lavoro viene svolto con strumenti semimanuali che avvantaggiano la qualità alla quantità.  Numerose sono, tuttavia, le aziende nelle quali la tradizione ha ceduto il passo alla moderna tecnologia con l’impiego di macchinari specializzati, nei quali il ciclo lavorativo è automatizzato al massimo. In un’atmosfera risuonante del frastornìo degli ingranaggi meccanici, macchine spinatrici-spanciatrici, fustellatrici che trasformano le bande di sughero in cilindri, intestatrici che tagliano a misura i turaccioli, macchinari a sensori ottici che selezionano e incanalano in percorsi diversi i tappi, secondo la loro qualità, lavorano a ritmo febbrile e con automatismi ossessivamente ripetitivi. Prima d’essere commercializzati i tappi subiscono il lavaggio.  Un tempo quest’operazione era effettuata con ipoclorito di sodio che lasciava però uno sgradevole odore.  Per ovviare a quest’inconveniente oggi si usa l’acqua ossigenata. Niente va perduto del sughero, i trucioli e persino le polveri sono recuperate per formare conglomerati per gli usi più disparati come solette, materiali per l’edilizia, parquet, tappezzeria per pareti e pannelli isolanti. Da diversi anni, con procedimenti particolari, si è riusciti a ottenere un sughero che presenta caratteristiche di resistenza e morbidezza tipici di un tessuto e, come tale, è usato nel campo della moda per la realizzazione di abiti, scarpe e borsette. Purtroppo la produzione isolana non soddisfa in pieno la richiesta. Mediamente vengono importati circa 90.000 quintali di materia prima che arriva anche dal Nord-Africa.  Le cause di siffatta situazione sono da ricercare in una politica di forestazione insufficiente, negli scompensi dell’ecosistema boschivo che favoriscono l’azione nefasta d’insetti defogliatori apparteneti all’ordine dei lepidotteri come la Tortrice verde (Tortrix viridiana L), il Bombice dispari (Lymantria dispar L) e, in misura minore, il Bombice gallonato (Malacosoma neustria L). Purtroppo anche gli incendi, spesso dolosi, fanno la loro parte nell’opera di distruzione. L’auspicio è che in futuro si dia nuovo impulso a un programma di riforestazione produttiva, che abbia come effetto la diminuzione dell’importazione della materia prima e, soprattutto, la creazione di nuovi posti di lavoro.>.

DIDASCALIE FOTO

0001
Un maestoso esemplare di sughera.
0002/0003
Il colore rosso-ruggine  è tipico dei tronchi  appena scortecciati.
0004
Sughero in attesa della bollitura.
0005
Catasta di sughero che ha già subito il trattamento della bollitura.
0006
Operaio alla macchina fustellatrice.
0007
Operaio intento a ricavare bande di sughero.
0008
Bruco di Lymantria dispar, uno degli insetti defogliatori delle sughere.
0009
Esempio di manufatti in sughero.

AVVERTENZA

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I COLORI dell’AUTUNNO
Complesse reazioni biochimiche sono alla base dei fenomeni che producono i tipici colori autunnali nelle foglie.
Testo e foto (C) di Milvia Petta



<C’è un periodo dell’anno durante il quale la natura ci dispensa l’ultima straordinaria esplosione di colori prima di assumere l’abito dimesso dell’inverno: è l’autunno, che celebra i suoi fasti creando scenari di grande suggestione con colori contrastati e saturi, accostati con magistrale tecnica macchiaiola. Nei boschi, nelle campagne, nelle città e ovunque vi siano caducifoglie è il trionfo delle calde gradazioni dell’arancio, dei rossi e dei gialli accesi che si stemperano, via via, nelle tinte più tenui dell’oro pallido, in una successione di prodigi cromatici d’inconsueta bellezza compositiva.  Tutta questa esuberanza coloristica, ha la sua ragione d’essere per un processo fisiologico di senescenza degli organi fogliari, dipendenti da un insieme di fattori complessi, fra i quali giocano un ruolo primario i cambiamenti termici e del fotoperiodo, connessi al cambiamento di stagione.
  E’ principalmente la luce l’artefice di tali fenomeni. La luce, fonte di ogni energia vitale, ha nelle piante la capacità di stimolare una specifica attività enzimatica che permette la differenziazione di taluni plastidi (organuli presenti nel citoplasma degli organismi autotrofi eucarioti) in cloroplasti attivi, in grado cioè di esplicare la fotosintesi clorofilliana. In particolare la clorofilla di tipo “a”  ha la capacità di assorbire le radiazioni rosse e blu dello spettro visibile e, sempre la luce, fa sì che possano essere sintetizzati pigmenti accessori di colore variabile dal rosso al viola, all’azzurro, come gli antociani, che si accumulano nei vacuoli (cavità sacciformi del citoplasma delimitate da membrane) e i carotenoidi contenuti sia nei cloroplasti, in associazione con le clorofille di tipo a e b, che nei cromoplasti (questi ultimi sono organuli fotosinteticamente inattivi provvisti esclusivamente di carotenoidi). I carotenoidi, oltre a essere responsabili della colorazione compresa nella gamma che va dal giallo all’arancio di fiori, frutti, foglie e radici (come nel caso del fittone della carota), sono ricettivi a radiazioni con lunghezze d’onda differenti rispetto a quelle a cui reagiscono le clorofille, coadiuvano quindi queste ultime nei processi fotosintetici e, per di più, hanno anche l’importante compito di proteggere i tessuti vegetali dall’ossidazione indotta dalla radiazione solare molto intensa. Nel periodo primaverile, in molte piante, taluni di questi pigmenti accessori non vengono prodotti, perché mancano le condizioni fisiche adatte; in altre, invece, pur essendo presenti, tali sostanze non si palesano, giacché sono mascherate dal verde della clorofilla.
 Quando in autunno la temperatura e le ore di luce cominciano a diminuire, le piante reagiscono a tali mutamenti rallentando il loro metabolismo, diminuendo la produzione degli enzimi che promuovono la formazione della clorofilla e preparandosi, in tal maniera, alla quiescenza invernale per affrontare meglio i rigori di tale stagione. Questo fenomeno è particolarmente vistoso nelle latifoglie decidue (ovvero le piante che fra l’autunno e l’inverno perdono completamente il loro apparato fogliare). La demolizione della clorofilla ha come conseguenza l’evidenziazione dei sunnominati pigmenti accessori, ed ecco, quindi, non più mascherati dal verde della clorofilla, apparire i caldi colori che caratterizzano la stagione autunnale. Numerosi arbusti, interi boschi, alberature stradali o recinzioni si ammantano di questi tipici colori grazie alla xantofilla e al carotene, il quale è il più abbondante fra i pigmenti della classe dei carotenoidi.  Altre essenze arbustive come la vite americana o la congenere cinese, oppure ancora, alberi come faggi o aceri, presentano tinte più vivaci comprese nella gradazione fra il fucsia e il rosso fiamma, in questi casi i responsabili sono i pigmenti antocianici, la cui formazione è favorita dall’accumulo degli zuccheri nei tessuti vegetali. Terminato il loro compito funzionale, le foglie producono un tessuto di separazione in prossimità del picciolo, che determina la loro abscissione; ma prima che esse cadano, la pianta recupera tutte le sostanze utili lasciandovi solo quelle di rifiuto (come per esempio i prodotti di ossidazione dei tannini che danno il tipico color bronzeo alle foglie secche), in tal maniera esse si assumono un ultimo importante compito: quello di fungere anche da organi di eliminazione delle sostanze tossiche.>.

DIDASCALIE  FOTO:

0001
Immagine autunnale del Parco di Laconi.
0002
Acero platanoide (Acerus platanoides L.).
0003
Particolare di foglie di Tiglio (Tilia cordata Mill.).
0004
I pigmenti carotene e xantofilla, non più mascherati dalla clorofilla, fanno assumere alle foglie uno splendido colore giallo luminoso.
0005
Nel periodo autunnale, le piante caducifoglie sono caratterizzate da colori molto caldi che coprono tutte le sfumature dei gialli, degli arancioni e dei rossi accesi.

AVVERTENZA


Le immagini fotografiche, a corredo del testo "Una quercia per amico", riprodotte nella sottostante galleria in "slideshow" (con miniatura visibile e cliccabile al passaggio del mouse), sono di esclusiva proprietà (C) dell'autrice Milvia Petta, che le ha cortesemente messe a disposizione di questo sito, alfine della migliore presentazione dell'articolo medesimo. Nessuno, pertanto, è autorizzato alla copia, al prelievo, alla diffusione/pubblicazione e/o al loro utilizzo per qualsivoglia motivo e circostanza, senza il preventivo consenso scritto dell'autrice. Chiunque fosse interessato, può e deve farne formale e motivata richiesta, scrivendo all'indirizzo e-mail riportato nelle pagina "Disclaimer" alla voce Contatti e nel "piè di pagina" del sito.

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I VIDEO di FERDINANDO ATZORI noto NANDO
Viaggiatore del mondo e videoreporter "free lance". Elenco con link a YouTube

Egitto - ''Deserto bianco'' - Pubblicato su YouTube il 16/02/2015 - Durata 14'25''
Dubrovnik - Video di Ferdinando Atzori pubblicato su YouTube - Durata 9'13''



01 -  A sinistra
Egitto :  ''Deserto bianco'' - Video di Ferdinando Atzori - Pubblicato su YouTube il 16/02/2015 - Durata 14'25''


02 -  A destra
Sicilia: Le "Gole di Alcantara" - Video di Ferdinando Atzori - Pubblicato su YouTube il 09/11/2015 - Durata 7'13''






03 - A sinistra
Croazia: "Città di Dubrovnik" - Video di Ferdinando Atzori - Pubblicato su YouTube il 09/08/2015 - Durata 9'13''


04 - A destra
Sardegna: " No servitù" (Capo Frasca) - Video di Ferdinando Atzori - Pubblicato su YouTube  il 17/09/2014 - Durata  10'50''




Sicilia: le "Gole di Alcantara"- Video di Ferdinando Atzori - Pubblicato su YouTube - Durata 7'13''
Sardegna: "No servitù" (Capo Frasca) - Video di F. Atzori pubblicato su YouTube il 17/09/2014 - Durata 10'50''

NOTE

Su YouTube sono rinvenibili diversi altri video amatoriali (al 17/02/2016 ne abbiamo registrato 36), eseguiti con cura e amore per la natura, i luoghi e le genti conosciuti nel suo pellegrinare per il mondo, unitamente alla moglie Milvia Petta, già preziosa collaboratrice di questa sezione di approfondimenti ambientali. Da oggi, volente o nolente, è diventato un valido collaboratore anche lui di questo sito web. Un grazie a Nando e auguri a tutti noi del sito: amministratore e collaboratori, estemporanei e stabili. I video sono ovviamente pubblici, ma chi li dovesse utilizzare deve necessarianmente citare la fonte di prelievo e il nome dell'autore. Inoltre, gli stessi non sono utilizzabili per fini commerciali, salvo diversa decisione dell'autore, a cui si può indirizzare un messaggio tramite la e-mail di questo sito. L'Amministratore dello stesso, provvederà a reindirizzargliela per le determinazioni del caso.

FERDINANDO ATZORI - ELENCO dei VIDEO PUBBLICATI su YOUTUBE

Clicca per aprire il documento in f.to PDF contenente sia titoli che link


01

https://www.youtube.com/channel/UCnIWlSS6a8p6cCjpuRoNddA
CROAZIA, PLITVICE

02
https://www.youtube.com/watch?v=KB5eflYDScc
SICILIA GOLE ALCANTARA
03
https://www.youtube.com/watch?v=zFyiRqMuvbc
ETNA
04
https://www.youtube.com/watch?v=bPBzEKeKXK8
AQUILONI AL POETTO
05
https://www.youtube.com/watch?v=BLIBGu5zMak
DUBROVNIK
06
https://www.youtube.com/watch?v=TbBf1ePUkWc
I GIGANTI DI MONTE PRAMA
07
https://www.youtube.com/watch?v=Su76MNKNKW4
PARCO GIANNI ARGIOLAS DOLIANOVA
08
https://www.youtube.com/watch?v=oAEnUvEQU9E
EGITTO KOM OMBO
09
https://www.youtube.com/watch?v=tvJbsQ0vwiQ
EGITTO EDFU
10
https://www.youtube.com/watch?v=SN5M7zkqDJE
EGITTO, NAVIGAZIONE SUL NILO
11
https://www.youtube.com/watch?v=sQxpYBevqAM
GROTTE DI S. GIOVANNI DOMUSNOVAS - PARTE 1^
12
https://www.youtube.com/watch?v=JqTfzdQJZas
BOSA
13
https://www.youtube.com/watch?v=u34kyKaPAIo
PETRA 2013
14
https://www.youtube.com/watch?v=3PhBHhSAgfI
BUGGERRU 1 MARZO 2015
15
https://www.youtube.com/watch?v=ho-AFVr5dy8
MEANA SARDO
16
https://www.youtube.com/watch?v=DiNOxFWInq8

MOSTAR
17
https://www.youtube.com/watch?v=vWLSm0eWGQ4
SARDEGNA, PAESI FANTASMA
18
https://www.youtube.com/watch?v=a9W_QdT8eZY
CARNEVALE OTTANA 2015
19
https://www.youtube.com/watch?v=kdQcMg5908s
EGITTO, DESERTO BIANCO
20
https://www.youtube.com/watch?v=A3uae9bAjqM
SANTADI TOMBA DEI GIGANTI
21
https://www.youtube.com/watch?v=VsD5_6M3z8M
CARNEVALE TEULADA 2015
22
https://www.youtube.com/watch?v=Vv0TWxgCCV4
ACQUARIO DI CALA GONONE
23
https://www.youtube.com/watch?v=AtHCjfZ3xTY
PARCO DI LACONI
24
https://www.youtube.com/watch?v=cfhJyw4aUfw
GESTURI LA GIARA
25
https://www.youtube.com/watch?v=Zkdhq_sr9rA
OLLOLAI CANE CON PASSIONE DEL CALCIO
26
https://www.youtube.com/watch?v=fYC6xOKKusk
ALIG’ART LAZZARETTO 2014
27
https://www.youtube.com/watch?v=zJBNRs1PaCk
FRECCE TRICOLORE-CAGLIARI 7.06.2014
28
https://www.youtube.com/watch?v=54pG2q82sE0
NO SERVITU' 13.09.2014

29
http://www.youtube.com/watch?v=4XCYyAPbQaI
CAPOTERRA, RIO SANTA LUCIA
30
https://www.youtube.com/watch?v=ZVpZ6H43D3U
CAMPI di STERMINIO di AUSCHWITZ e BIRKENAU
31

https://youtu.be/LvRKeWHrkwg
SELLA del DIAVOLO CAGLIARI
32
https://youtu.be/MaucDnXPguo
GROTTE di SAN GIOVANNI DOMUSNOVAS - PARTE 2^
33

https://youtu.be/5Sd1GL6IzPY
CARNEVALE di SAN GAVINO MONREALE
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https://youtu.be/vCQkOT083X4
NUOVA SS 195 SULCITANA
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https://youtu.be/g44BnyGQvjM
CAGLIARI "VESPIGLIA" 2016
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https://youtu.be/ueTEJl8uB_w
PALERMO
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https://youtu.be/tp6lfLF4Its
EURASIA - PALAZZO di CITTA' CAGLIARI





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FAI - FONDO AMBIENTE ITALIANO
http://www.fondoambiente.it

Chi siamo

"Il 28 aprile 1975 Giulia Maria Mozzoni Crespi, Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli fondano ufficialmente il FAI, Fondazione senza scopo di lucro nata da un’idea di Elena Croce e sull'esempio del National Trust inglese. Promuovere in concreto una cultura di rispetto della natura, dell'arte, della storia e delle tradizioni d’Italia e tutelare un patrimonio che è parte fondamentale delle nostre radici e della nostra identità. E' questa la missione del FAI - Fondo Ambiente Italiano, Fondazione nazionale senza scopo di lucro che dal 1975 ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano.
Il FAI e tutte le persone che lo sostengono sono impegnati quotidianamente a tutelare e valorizzare il patrimonio d'arte e natura italiano, educare e sensibilizzare la collettività, vigilare e intervenire sul territorio.
Conoscenza, concretezza, coerenza, indipendenza, qualità. Ispirandosi a questi cinque principi il FAI opera per la gente e con la gente, con tutte quelle forze anche spontanee nelle quali molte persone civili si coagulano per uno scopo comune.".


Fonte logo e testo
http://www.fondoambiente.it/chi-siamo



WWF - WORLD WILDLIFE FOUND
http://www.wwf.it

Chi siamo

"Il World Wide Fund for Nature è la più grande organizzazione mondiale per la conservazione della natura. Nato nel 1961, è presente nel mondo con 24 organizzazioni nazionali, 5 organizzazioni affiliate e 222 uffici di programma in 96 paesi.
Oltre 5 milioni di persone in tutto il mondo con il loro aiuto permettono al WWF di sostenere la sua sfida: oltre 2.000 progetti concreti ogni anno per la tutela della biodiversità e per creare un mondo dove l'uomo possa vivere in armonia con la natura.
L'associazione è strutturata in uffici nazionali che operano nei singoli Paesi in modo indipendente ma in coerenza con i programmi e gli obiettivi posti dal WWF Internazionale. Oltre alle sedi nazionali il WWF opera anche attraverso "Uffici di programma" mirati alla realizzazione di specifici progetti di conservazione spesso transnazionali. a sede del WWF Internazionale è a Gland, in Svizzera.
Lavoriamo per portare avanti quei processi di cambiamento che permetteranno a noi e ai nostri figli di vivere in armonia con la natura.".

Fonte logo e testo

http://www.wwf.it/chi_siamo



LEGAMBIENTE
http://www.legambiente.it

Chi siamo


"Ambientalismo scientifico, volontariato, solidarietà: una passione lunga trent'anni.
Legambiente è nata nel 1980, erede dei primi nuclei ecologisti e del movimento antinucleare che si sviluppò in Italia e in tutto il mondo occidentale nella seconda metà degli anni ’70.
Tratto distintivo dell’associazione è stato fin dall'inizio l’ambientalismo scientifico, ovvero la scelta di fondare ogni progetto in difesa dell’ambiente su una solida base di dati scientifici, uno strumento con cui è possibile indicare percorsi alternativi concreti e realizzabili.
L'approccio scientifico, unito a un costante lavoro di informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini, ha garantito il profondo radicamento di Legambiente nella società fino a farne l’organizzazione ambientalista con la diffusione più capillare sul territorio: oltre 115.000 tra soci e sostenitori, 1.000 gruppi locali, 30.000 classi che partecipano a programmi di educazione ambientale, più di 3.000 giovani che ogni anno partecipano ai nostri campi di volontariato, oltre 60 aree naturali gestite direttamente o in collaborazione con altre realtà locali.
Legambiente è un’associazione senza fini di lucro, le attività che organizziamo sono frutto dell'impegno volontario di migliaia di cittadini che con tenacia, fantasia e creatività si impegnano per tenere alta l'attenzione sulle emergenze ambientali del Paese.".

Fonte logo e testo
http://www.legambiente.it/legambiente/chi-siamoFonte

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GREENPEACE
http://www.greenpeace.org

Chi siamo

"Greenpeace è un'associazione non violenta, che utilizza azioni dirette per denunciare in maniera creativa i problemi ambientali e promuovere soluzioni per un futuro verde e di pace. Greenpeace è indipendente e non accetta fondi da enti pubblici, aziende o partiti politici.
Con circa tre milioni di sostenitori in tutto il mondo, Greenpeace è uno dei più grandi movimenti ambientalisti del mondo. Greenpeace si ispira ai principi della nonviolenza; è indipendente da qualsiasi partito politico; non accetta aiuti economici né da governi né da società private e si finanzia esclusivamente con il contributo di singoli individui che ne condividono gli ideali e la missione.
Greenpeace è formata da una rete di uffici nazionali e regionali interdipendenti che lavorano insieme a Greenpeace International, ad Amsterdam.
Il ruolo di Greenpeace International è di avviare e coordinare i programmi e le attività di campagna. Ogni ufficio nazionale o regionale lavora su alcune o su tutte le priorità stabilite da International, anche se questo non impedisce agli uffici nazionali di stabilire priorità a livello locale che possono anche portare a una vera e propria campagna.
Greenpeace International è finanziata dagli uffici nazionali che, a loro volta, vivono delle donazioni fatte dai sostenitori dei rispettivi paesi. Tutti gli uffici sono tenuti a sostenere Greenpeace International con il 18% delle loro entrate, mentre Greenpeace International, oltre a finanziare le campagne internazionali, ad assicurare la manutenzione della flotta e a investire in ricerca scientifica ed innovazione tecnologica, lavora su specifiche campagne internazionali in paesi chiave e aiuta economicamente gli uffici più piccoli che non riescono ad autofinanziarsi.".


Fonte logo e testo
http://www.greenpeace.org/italy/it/chisiamo

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ITALIA NOSTRA
http://www.italianostra.org

Chi siamo

"Italia Nostra è una ONLUS e vuole impegnarsi, con i soci, in attività di servizio, non solo stimolando la “memoria” e la tutela, ma promuovendo, anche attraverso i nuovi strumenti della comunicazione, la conoscenza e la fruizione dei beni culturali. Italia Nostra protegge i beni culturali e ambientali. È una missione che impegna Italia Nostra da 60 anni e i risultati non sono mancati: la legge quadro sui parchi, la tutela dei centri storici e poi le campagne per salvare Venezia dall’Expo 2000 e Castel Sant’Angelo dal Giubileo, solo per citarne alcune. Il nostro compito non si esaurisce nel salvare dall’abbandono e dal degrado monumenti antichi, bellezze naturali o opere dell’ingegno; Italia Nostra persegue un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla valorizzazione dell’inestimabile patrimonio culturale e naturale italiano, capace di fornire risposte in termini di qualità del vivere e di occupazione.".


Fonte logo e testo

http://www.italianostra.org/?page_id=4

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AMICI di SARDEGNA ONLUS
http://www.sardiniafriends.com

Chi siamo

"L’Associazione Amici di Sardegna è una O.N.L.U.S. (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) iscritta al Registro Generale del Volontariato, settore Cultura, Istruzione, Beni Culturali, Formazione permanente e Cooperazione internazionale con Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 593. Nasce nel 1985 e prende forma giuridica nel 1993.
Amici di Sardegna ha vinto un POR Sardegna nel 2001 per Barumini Grandi manifestazioni turistiche, ha realizzato dei progetti per la Unione Europea, ha partecipato a un progetto LIFE, collabora con diversi Ministeri, con l’Università di Cagliari, numerosi Istituti di vario ordine e grado, con la Regione Sardegna, enti locali, aziende e imprese. Aderisce al CSV Sardegna Solidale e al Mo.V.I. e alla Rete Sarda della Cooperazione Internazionale.".


Fonte logo e testo
http://www.sardiniafriends.com/chi-siamo
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AMICI della TERRA
http://www.amicidellaterra.it

Chi siamo

"Amici della Terra Italia Onlus, è un’Associazione ambientalista riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, attiva in Italia dal 1978 con sedi e recapiti su tutto il territorio nazionale.
Gli Amici della Terra promuovono politiche e comportamenti orientati alla protezione dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile, attraverso campagne di opinione, progetti, informazione ed educazione ambientali, iniziative sul territorio.
Una corposa attività di studio e ricerca fornisce solide basi scientifiche alle loro attività e posizioni.
L’associazione si distingue per un approccio razionale ai problemi che affronta, non dogmatico, libero da pregiudizi ideologici e da interessi particolari.
L’associazione si riconosce in una cultura democratica, riformista, antiautoritaria. Sceglie le istituzioni come proprio interlocutore principale, cerca il dialogo con ogni parte politica, non discrimina i propri soci sulla base della loro appartenenza a partiti politici.
Insieme al degrado ambientale, combatte la povertà, l’ignoranza e le discriminazioni sociali, razziali, religiose e sessuali.
Essa è consapevole della globalità dell’impegno ambientalista, interviene in ogni ambito internazionale utile e sostiene il dialogo, le trattative, gli accordi e le iniziative di carattere transnazionale.".

Fonte logo e testo

http://www.amicidellaterra.it/index.php/chi-siamo
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GRUPPO di INTERVENTO GIURIDICO
http://gruppodinterventogiuridicoweb.com

Chi siamo


"Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus è un’associazione ecologista nata a Cagliari nel giugno 1992 e opera in via autonoma, su segnalazione di associazioni, comitati, singoli cittadini. La nostra attività è improntata all’ utilizzo dello “strumento diritto” per difendere il territorio e le sue valenze ambientali, naturalistiche, paesaggistiche, archeologiche, storiche e culturali dagli attentati che quotidianamente vengono portati avanti da speculatori, inquinatori e, purtroppo, da amministratori pubblici insensibili, poco accorti o, addirittura, conniventi.

In pochi anni il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha svolto:
* oltre 1.500 azioni legali ed iniziative varie a favore del patrimonio ambientale e storico-culturale della Sardegna (più di 900 per la difesa delle coste);
* in più di 1.200 casi ha ottenuto l’intervento delle varie amministrazioni pubbliche competenti e/o della magistratura;
* 65 ricorsi ai Giudici amministrativi;
* 18 costituzioni di parte civile in procedimenti penali;
* numerose denunce ed iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica grazie a mezzi di informazione nazionali.".

Fonte logo e testo

http://gruppodinterventogiuridicoweb.com/about/
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